- Pubblicata il 19/01/2013
- Autore: MATTEO
Voltati che ti farò felice - Pavia Trasgressiva
Telefonai a Miryam, la mia compagna di studi universitari. Dovevo chiederle delle dispense su cui studiare per sostenere l'esame del mese successivo. Lei non mi rispose al cellulare così chiamai al fisso, a casa sua. Mi rispose sua sorella Elena la quale mi mise al corrente che Miryam era all'ospedale, con la mamma, per una visita.
Rimanemmo d'accordo con Elena che mi sarei fatto vivo nel primo pomeriggio, quando Miryam sarebbe tornata a casa.
Come sempre mi pregustavo la solita situazione di solitudine con lei. Studiavamo insieme da qualche mese e per lei avevo provato un'attrazione da subito. Le solite cose, insomma: qualche sguardo piacevole, qualche carezza, qualche bacio innocente sulle guance. E devo ammettere che lei rispondeva, in modo innocente, ma rispondeva. Io, al tempo, ero fidanzato, lei uguale. Lei, però, non attraversava un buon periodo col suo uomo, poiché sospettava che l'avesse tradita.
Quel pomeriggio, quando arrivai a casa, ad accogliermi non fu Miryam, ma sua sorella. Era in casa da sola. Appena entrato mi comunicò che sua sorella sarebbe tornata più tardi, forse troppo tardi. Elena era un'altra che non attraversava nemmeno lei un buon periodo col suo uomo,altri tipi di problemi, però. In sostanza il suo uomo era uno di quelli che si faceva letteralmente i cazzi suoi, un cretino di trentadue anni che divideva la sua vita tra lavoro, calcio e pesca.
Una volta in casa Elena mi accolse come sempre, un bel sorriso, gentilezze e fra queste si propose nella preparazione di un caffè. Era vestita bene: jeans stretti, una camicetta color avorio dentro i pantaloni, tacchi alti.
Una volta messo il caffè sul fuoco lei andò a prendermi le famose dispense lasciandomi da solo in sala.
Il sole di metà giugno entrava dalla finestra. Dopo qualche minuto, odore di caffè. Lei si presentò in sala con le famose dispense in mano che gettò sul tavolo. Purtroppo si era cambiata; aveva indossato un vestitino tipo copricostume, ai piedi sandali con la suola di paglia non troppo bassa. Elena non è alta, ma c'è tutta come si suol dire, forme e curve sono al punto giusto, la rendono femmina, e non poco. Notai la scollatura senza il reggiseno, notai il culo. Ero certo, col vestito aderente in quel modo che le mutande l'avrei viste, avesse indossato anche un filo. Mi entrò in testa un tarlo che iniziò a rosicchiarmi i neuroni: senza mutande, senza reggiseno, l'aveva fatto apposta?
I capezzoli erano induriti. Non feci niente per nascondere i mie sguardi, anzi, mi complimentai e le feci battute senza peli sulla lingua. Lei rideva, la bocca carnosa. Si raccolse i capelli castani con una penna e servì il caffè. La guardavo da dietro, il culo ritto, il mio uccello s'indurì. Guardavo e riguardavo convincendomi sempre di più che fosse senza mutande. Io ero seduto sulla sedia, al tavolo. Lei si posizionò sul divano, davanti a me. Iniziammo a parlare. Ad un certo punto accavallando le gambe ebbi la conferma di quello che pensavo: senza mutande, pochi peli sotto, solo nella parte alta vidi scuro. E, a me, la passera depilata con la crestina fa impazzire. Durante il discorso lei scostò le gambe, semiaperte e così rimase. Avevo la passera davanti agli occhi.Ci guardammo. Pensai che fosse giunto il momento di essere intraprendente e così feci:
"Si sta bene senza mutande?"
Lei sorrise, lo sguardo malizioso, si alzò senza rispondere e andò in cucina per sciacquare la sua tazzina e la caffettiera.
Presi aria. Mi alzai andando verso l'acquaio, lei girata di spalle. Appoggiai la tazzina nella buca, le misi una mano al fianco e le baciai la spalla. Guardai la sua espressione, rideva sorniona, in silenzio. Anche l'altra mano andò sul fianco.
"E se arriva qualcuno?", aggiunse lei chiudendo la cannella.
"Sentiremmo i rumori della macchina, no?"
Silenzio.
Quella stronza non stava facendo niente per farmi capire. Rimaneva vaga e questa cosa mi stava eccitando sempre di più. Iniziai a strusciarle l'uccello duro al culo, lei no si mosse, reclinò la testa indietro chiudendo gli occhi e sussurrando il mio nome a bassa voce. Spostai le mani sui seni, abbassai la scollatura, iniziai a palpeggiare la sua quarta, belle tette, ritte. Andai a pizzicare i capezzoli. Lei iniziò a muovere il culo, roteando le chiappe all'uccello. Mi feci avanti cercando di baciarla, le nostre lingue erano furiose, completamente fuori dalle bocche. Passai a leccarle il collo, la sua mano si mosse in dietro alla ricerca del cazzo che trovò in ottima forma. Le alzai il vestitino all'altezza del culo, le infilai la mano tra le gambe.
"Sei mezza", le sussurrai all'orecchio.
"Da morire", rispose lei con voce strozzata.
"Prendimelo in bocca"
Mi abbassò la tuta, la vidi sparire in basso. Iniziò a sponpinarmi come si deve: leccava le palle, la lingua scorreva lungo l'uccello, succhiotti sulla cappella, tutto in bocca e poi, su e giù. Sentivo i suoi denti con delicatezza, ansimava. Ogni tanto riapriva gli occhi e mi fulminava con lo sguardo; nel silenzio, solo il rumore di chi sta ciucciando e di chi, infilandosi il cazzo tutto in bocca, pare stia affogando da un momento all'altro. La alzai sollevandola sopra l'acquaio, le aprii le gambe e iniziai a leccargliela. Avevo i baffi impregnati del suo umido, quel rumore meraviglioso della lingua che scivola sul bagnato. Leccavo e accarezzavo con un dito la parte alta, il clitoride era pronunciato. Lei mi teneva la testa, mi schiacciava la bocca alla sua passera, ansimava in calore, era calda che faceva paura. La scesi dall'acquaio e la penetrai spingendo forte, cambiando velocità, tirandolo tutto fuori e rimettendolo al suo posto. Ogni volta che entravo gemeva di piacere, le mie mani a seni, la lingua sul collo. Iniziai a sbatterla sempre più forte. Ci sedemmo sulla sedia, lì vicina. Lei sopra, faccia a faccia. Mi cavalcava eccitata chiedendomi di scoparla. Si girò, ancora sopra di me, seduti sulla sedia. Le reggevo le gambe e penetravo. Le toccavo la passera in cima. Era vogliosa da morire. Pensai a quel punto di poterle chiedere di tutto. La misi a pecora sull'acquaio iniziai a sbatterla, le mani ai fianchi, poi a seni. La presi per i capelli, la iniziai a scopare sempre più forte. Le sue natiche si muovevano, il rumore del cazzo nella passera e della chiappe del culo che ricevevano i colpi cadenzati.
Cercai col dito il culo, lei no voleva, le presi con forza i polsi, riprovai. Iniziò a cedere, il mio dito iniziò a entrare nel culo con qualche difficoltà. Mi abbassai, le sputai nel buco e la penetrai col dito. Lasciava fare. Stava impazzendo di piacere. Alzai gli occhi. Al muro, sopra il rubinetto dell'acqua, perfettamente allineati, si trovavano dei contenitori di spezie varie, di forma precisa a quello che avevo in mente, lunghi e ovali (tipo provetta per la pipì, ma più grandi). Ne presi uno e iniziai a infilarglielo nel culo. Cazzo nella passera e oggetto nel culo.
"Ti piace... dimmelo, ti piace", chiedevo io
"Si... si... così... così", solo questo era in grado di dire
Un paio di minuti dopo mi supplicò di metterle nel culo il mio cazzo.Feci cadere un po' di saliva sulla mia cappella e glielo infilai piano, poi iniziai a stantuffarla sempre più forte.
"Come sono?", chiese lei
Avrei potuto dirle brava, ma la prima cosa che mi venne in mente fu: TROIA. E, a lei, piacque. Le chiamai troia ancora qualche volta prima che lei mi dicesse che stava per venire. Al momento di venire le sue mani strinsero il panno per asciugare i piatti. Il suo buco del culo lo sentivo stringere il mio uccello. Si fermò, tremando, il cazzo ancora dentro. Si voltò felice. Continuai a penetrarla venendole, poco dopo, nel culo. Sfilai l'uccellò, lei si abbassò prendendomelo in bocca.
"Non fai avanzare niente, eh?"
"Gli avanzi sono la mia cosa preferita", rispose lei asciugandosi la bocca.
In macchina lessi l'sms della mia compagna di studi:
FATTI DARE LE DISPENSE DA ELENA
e io risposi:
FATTO, MI HA DATO TUTTO
ZannaZanardi
Tutto o quasi bene a parte quella benedetta quarta di reggiseno che è il fil rouge di tutte le storie. Gentili scrittori, ogni misura può avere il suo fascino.